Deep Dark (di Michael Medaglia, 2015)


Recensione alternativa quella di oggi. Che anzi recensione non è, perché pensandoci bene quelle che io chiamo "recensioni" per comodità non sono altro che riflessioni personali su quello che vedo - quello che penso - quello che ascolto o quello sui cui mi capita di soffermarmi, magari leggendo, magari dialogando.

Detto questo, una riflessione può essere anche di poche parole. A volte pochissime. Certe volte ne basterebbe solo una. Tipo "boh".

Perché in quel "boh" – pensateci - c'è tutto, tutto quello che serve esprimere in certi casi. L'indeterminatezza riassunta in una sola sillaba. L'impossibilità di dare un'opinione che diventa essa stessa opinione. Da un "boh" può partire qualunque riflessione anche quando non si potrà far altro che poi tornare a quel boh, con la coda tra le gambe. Oppure niente, si può rimanere lì fermi, nell'indeterminatezza, e sguazzarci dentro.


Quando ho guardato il film Deep Dark, ad esempio, in quell'indeterminatezza ci sono sprofondato. Perché il film diretto da Michael Medaglia (e con un nome così le battute si sprecherebbero), scritto da Michael Medaglia, interpretato da una manciata di attori e da un buco, costato credo una merendina a testa per il cast e una bicchiere di acqua del rubinetto diviso tutti, non mi ha fornito nessun tipo di appiglio. Anzi, non mi ha fornito nulla, nemmeno la possibilità di dire "che schifo" o "è brutto" o "mamma mia che razza di film". No. Niente.
Per questo l'unico modo che ho per esprimermi su Deep Dark è con un

BOH

Anzi, a voler essere meno sintetici, più prolissi, mi esprimo con un

IO BOH


E nulla, sul serio, va bene sperimentare, va bene arrangiarsi, va bene che le idee contano più della realizzazione (a volte). Ma così è troppo. Così non trasmetti nulla se non quello che trasmettono i mezzi. Ma, boh, non lo so. E so cosa starete pensando. Penserete che io vi stia trollando. Ma non è così, ve lo assicuro. O forse sì?  

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