Netflix: The Cloverfield Paradox (di Julius Onah, 2018)


Adoro il concetto di "universo cinematografico condiviso", soprattutto quando riesce ad andare al di là della mera operazione fandom diventando davvero la base di partenza per elementi indipendenti che si muovono in un contesto comune. Quindi alla base del franchise Cloverfield c'è l'idea di inserire film che tecnicamente non avrebbero nulla a che fare in uno stesso universo narrativo, cosa che li porta a convergere senza mai intersecarsi, con personaggi e situazioni in spazi (o tempi e dimensioni) diversi, ma caratterizzati da elementi inconfondibili che creano familiarità. Oltre alla situazione di base che, lo scopriamo nei primi due film (Cloverfield e 10 Cloverfield Lane), vede il nostro pianeta invaso da terribili mostri. 

Bene, nel nuovo The Cloverfield Paradox ci viene spiegato anche perché.

The Cloverfield Paradox viene annunciato durante il Super Bowl e rilasciato il giorno stesso su Netflix, la nota piattaforma streaming che attraverso riservati accordi con la Paramount è riuscita ad acquistarne i diritti. Quindi il film, inizialmente previsto per le sale, è arrivato on-line (scatenando come sempre l'indignazione dei tanti) un po' a sorpresa Domenica 4 Febbraio. Nemmeno nasceva come parte della "saga": inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi God Particle e sarebbe dovuto essere un qualunque film di fantascienza. Prima di attirare le attenzioni di J.J. Abrams e della sua Bad Robot Productions


Peccato però che questo nuovo capitolo non sia paragonabile qualitativamente ai suo predecessori. Peccato che, oltre a cambiare ulteriormente genere, si cambi soprattutto tono, trasformando un probabilmente interessante sci-fi teso e claustrofobico in un informe e caotico miscuglio: fanta-horror con inserti comici e addirittura demenziali, più disaster movie condito da mostri giganti. Insomma, c'è di tutto, non manca nulla (nemmeno le sempreverdi citazioni di Alien) ma si arriva a poco. Senza sacrificare la digeribilità, ma di certo non facendo un buonissimo lavoro.

De gustibus, direte voi, ma a me è sembrato che il regista Julius Onah non sia stato all'altezza di gestire la strampalata storia ideata e scritta dallo sceneggiatore Oren Uziel, evidentemente riadattata per poter essere inserita in un contesto inizialmente non suo. Ed ecco che arriva quasi immediatamente un mezzo spiegone che ci fa capire quali saranno gli effetti intrinsechi ed estrinsechi di ciò che un gruppo di scienziati sta facendo nello spazio, su una stazione spaziale internazionale, per risolvere la crisi energetica che ha messo in ginocchio l'umanita nel 2028. Ecco anche una linea narrativa secondaria, ma parallela, che funziona solo in prospettiva (ma neanche tanto) e in vista del finale beffardo che sinceramente a me è piaciuto molto. Ma sono proprio i toni a non essermi graditi, i momenti comici forzati che spezzano la tensione, l'eccessiva richiesta di sospendere la propria incredulità, i personaggi macchiettistici, un po' stupidi (tutti scienziati, eh), certamente non particolarmente originali. Se si aggiunge il fatto che lo spettatore sa già dove tutto quanto andrà a parare, ecco che il pasticcio è fatto. Manca la tensione, manca la coesione e manca persino la razionalità in determinate situazioni, che rende elementi e scene potenzialmente interessnti assolutamente banali. 


The Cloverfield Paradox, pur lasciandosi guardare tranquillamente per tutti i suoi 102 minuti, perde l'ambiguità, perde il senso di confuso terrore, la sensazione di impotenza e il costante senso di opprimente indeterminatezza che gli altri due capitoli della saga sfruttavano per essere, ogniuno a modo proprio, affascinanti esempi di cinema di genere. 

Ma, ripeto, anche prendendolo per se stesso, non è che il film brilli particolarmente. 

Si aspetta quindi il quarto capitolo (o spin-off), che questa volta quasi sicuramente troveremo nei cinema. Che se un film non esce in sala allora è male, anche se non ci hanno ancora spiegato bene il perché. 

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